Abbiamo cominciato ad occuparci di efficacia
giuridica del documento informatico nel 1987. Da quella data,
abbiamo seguito il lungo e faticoso iter normativo, che, passando
per il riconoscimento della rilevanza giuridica di tale documento
nel nostro ordinamento, ha visto susseguirsi nel tempo vari
provvedimenti, di matrice comunitaria e nazionale, di rango primario
e secondario, fino a giungere, sei anni fa, ad una disciplina
abbastanza organica, contenuta in un testo normativo unitario: il D.
Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, cosiddetto Codice della PA digitale,
modificato dal D. lgs. 4 aprile 2006, n. 159, d'ora in poi "CAD".
(Gli aggiornamenti di questa Sezione del sito, risalenti negli anni
precedenti dal 2007 al 2001, sono reperibili ai rispettivi link di
fondo pagina, a partire dal presente aggiornamento).
Oggi tuttavia dobbiamo rilevare, con notevole
sconforto, che questo processo di progressiva elaborazione giuridica
sta subendo in realtà una battuta d'arresto, con il rischio di
avvitamento su sè stesso, a causa di una serie di modifiche
incongrue recentemente introdotte nel sistema.
In attuazione della delega prevista dall'art. 33
della legge N. 69/2009, è stato emanato il D. Lgs. 30.12.2010 N. 235
(G.U. N. 6 del 10.01.2011 Suppl. ord.), cosiddetto "decreto
correttivo", che ha introdotto rilevanti modifiche al CAD, entrate
in vigore il 25.01.2011.
Nonostante le buone intenzioni della bozza
iniziale, tesa a migliorarne l'organizzazione sistematica, il testo
definitivo del decreto, come emerso dopo mesi di riservatissime
revisioni ed aggiustamenti, presenta delle novità che ne scardinano
l'impianto, alimentando il ritorno ad una situazione di precarietà
ed incertezza giuridica che si riteneva ormai superata.
In primo luogo è stata reintrodotta la firma
elettronica avanzata, già eliminata dal CAD nel 2005, perchè troppo
"vaga", fonte di confusione giuridica e di insicurezza sotto il
profilo tecnico. Si tratta di un tipo di firma cosiddetta "leggera",
che non richiede di essere basata obbligatoriamente su un
certificato qualificato, né di essere creata mediante un dispositivo
sicuro di firma e che può essere rilasciata anche da certificatori
non qualificati (né tantomeno accreditati nell’Albo tenuto prima
dall’AIPA, poi CNIPA, oggi DigitPA), in pratica da chiunque.
La questione grave è che a tale firma non è stato
confermato il medesimo valore giuridico che aveva a suo tempo
(liberamente valutabile dal giudice), ma è stata attribuita
addirittura l'efficacia di scrittura privata, prevista dall'art.
2702 codice civile, parificandola a quella dei documenti
sottoscritti con firma qualificata o digitale.
Tuttavia, poichè si tratta di una firma non
sicura, diciamo di "serie B", è stato anche stabilito che tale firma
non può essere utilizzata per la sottoscrizione di quegli atti e
contratti che devono essere stipulati per iscritto a pena di
nullità, ai sensi dell'art. 1350 codice civile (nuovo comma 2bis
dell'art. 21 CAD).
Si è creato così una sorta di ossimoro giuridico:
la firma elettronica avanzata garantisce, al documento a cui viene
apposta, l'efficacia probatoria della scrittura privata (ex art.
2702 c.c.), ma non ne integra il requisito della forma scritta.
Infatti essa non può essere utilizzata per sottoscrivere quegli atti
che l'ordinamento pretende che vengano realizzati per iscritto a
pena di nullità.
La firma avanzata non è buona neanche per
realizzare le copie su supporto informatico dei documenti formati
dalla P.A. su supporto analogico, poichè il CAD richiede
espressamente l'utilizzo della firma digitale o altra firma
qualificata (art. 23ter, comma 3).
Verrebbe anche da porsi il dubbio se tale firma
sia idonea o meno ad essere utilizzata per la tenuta delle scritture
contabili, ai sensi degli articoli 2214 e 2215 codice civile ma, per
fortuna, l'art. 2215bis non consente dubbi e prevede espressamente
l'uso della firma digitale, evitando così alle aziende eventuali
brutte sorprese postume.
In secondo luogo si è inferto un durissimo colpo
alla "sicurezza" della firma digitale poichè, nel riformulare le
definizioni delle varie firme, per reintrodurre la firma avanzata,
si è alterata la scala progressiva del collegamento tra le
definizioni. Oggi la firma digitale è definita, non più come un
particolare tipo di firma qualificata, ma come un particolare tipo
di firma avanzata, basata su un certificato qualificato ma priva del
dispositivo sicuro.
Questo è particolarmente grave se si considera
che l'intero sistema giuridico del documento informatico è fondato
sull'uso della firma digitale, in quanto sicura tecnicamente e
conseguentemente capace di fornire certezza giuridica ai documenti
(atti, contratti e relative copie).
Il nuovo CAD "corretto" delinea quindi tre firme,
aventi tutte l'efficacia di scrittura privata ai sensi dell'art.
2702 c.c, con le seguenti caratteristiche:
- firma avanzata - senza certificato e senza
dispositivo sicuro (non idonea alla sottoscrizione dei documenti che
richiedono la forma scritta a pena di nullità)
- firma digitale - con certificato qualificato ma
senza più dispositivo sicuro
- firma qualificata - con certificato e con
dispositivo sicuro
A questo punto la domanda è: perchè si è voluto
inserire ulteriori elementi di complessità ed incertezza in un
settore dove la necessità di informazione e formazione è tuttora
enorme e dove, per cittadini ed imprese, è difficilissimo
comprendere la differenza tra una firma e l'altra sin dalla fase
dell'acquisto?
Si dice che così potrà facilitarsi la diffusione
della firma biometrica o, ad esempio, delle One Time Password
utilizzate da alcune banche, che potranno stipulare contratti
online, anche se i clienti non possiedono la firma digitale.
Certo, ma chi tutelerà cittadini ed aziende,
spiegando loro le differenze tecniche e giuridiche tra una firma e
l'altra, quando l'esperienza di questi anni ha ampiamente dimostrato
che l'unica cosa che i fornitori sono in grado di dire ai clienti è
che la firma che stanno vendendo loro è "a norma"?
Si tenga conto che il recentissimo Decreto del
Ministro della giustizia, del 21 febbraio 2011 N. 44, recante
«Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel
processo civile e nel processo penale delle tecnologie
dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi
previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive
modificazioni, contiene la seguente definizione di
"firma digitale: firma elettronica avanzata,
basata su un certificato qualificato, rilasciato da un certificatore
accreditato, e generata me-diante un dispositivo per la creazione di
una firma sicura, di cui al de-creto legislativo 7 marzo 2005, n.
82".
Secondo il nuovo CAD è possibile oggi, con una
firma digitale senza dispositivo sicuro, vendere un immobile e non
può essere di conforto pensare che, dovendosi trattare di errore del
legislatore, la norma verrà corretta a breve. Basti ricordare cosa è
successo con la famosa "dimenticanza" circa la distinzione tra i
documenti originali unici e non unici, contenuta nel decreto del
Ministero delle Finanze del 23.01.2004, che avrebbe dovuto essere
corretta immediatamente con una circolare. (Piuttosto che modificare
quel decreto si è preferito modificare, sul punto, 2 volte il CAD-
L. 2/2009 e D. Lgs. 235/2010- e trattare la questione nelle
Risoluzioni dell'Agenzia delle Entrate).
In terzo luogo la disciplina delle copie e della
conservazione dei documenti è stata anch'essa, prima sistematizzata
(nella bozza iniziale) e poi destrutturata (con le modifiche
finali).
Oggi in mancanza di nuove regole tecniche, che
dovranno disciplinare ogni attività, non si è più in grado di capire
come devono essere realizzate le copie dei documenti, nè analogici
nè informatici.
Per gli analogici addirittura sono state definite
due tipologie di copie (copia informatica e copia per immagine),
salvo poi disciplinare soltanto la copia per immagine e dimenticarsi
l'altra. Inoltre non è più richiesta la firma digitale da parte di
colui che effettua la copia, quindi non è prevista alcuna assunzione
di responsabilità, da parte di chicchessia, circa la conformità
della copia all'originale (art. 22).
Tale copia ha la stessa efficacia probatoria
dell'originale da cui è tratta se la conformità all'originale non
viene disconosciuta e, fino a qui, la previsione normativa è
allineata con quella generale relativa al documento cartaceo (art.
2712 c.c.).
Ma nel mondo cartaceo una copia "libera" fa prova
fintanto che ed in quanto esiste l'originale che, in caso di
disconoscimento, dovrà essere prodotto per la verifica.
Il nuovo art. 22 del CAD stabilisce invece che
tali copie (per immagine) sostituiscono ad ogni effetto di legge gli
originali analogici e sono idonee ad assolvere gli obblighi di
conservazione (salva la disciplina particolare per i documenti
unici).
In sostanza è come se si fosse stabilito non solo
che le fotocopie hanno la stessa efficacia probatoria del documento
originale, salvo che la loro conformità all'originale non venga
disconosciuta, ma anche che tali fotocopie possono in ogni caso
sostituirsi agli originali ed assolvere gli obblighi di
conservazione, con facoltà di distruzione degli originali non unici.
È interessante notare che tale trattamento "di
favore" non è riservato anche alle copie su supporto analogico dei
documenti informatici, per i quali permane l'obbligo, ove previsto,
di conservazione dell'originale.
La questione è particolarmnente grave se si
considera che le fantomatiche nuove regole tecniche, che dovrebbero
definire nel dettaglio tutti questi processi, ivi incluse a questo
punto le tipologie di firme da utilizzare, potrebbero non essere
emanate ancora per anni. Fino ad oggi le regole tecniche vere e
proprie, come previste dal CAD e prima dal T.U. 445/2000, non sono
mai state emanate, si procede in via sostitutiva reiterando
l'efficacia della Delibera CNIPA n. 11/2004 e del Decreto Ministero
delle Finanze del 23.01.2004, con tutte le relative problematiche di
ccordinamento tra norme vecchie e nuove.
Non è un caso che sia stato subito emanato un
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, in data 2 marzo
2011, che stabilisce che le modalità di conservazione ed esibizione
dei documenti per via informatica, di cui all'art. 20, comma 5 bis,
del CAD (modificato dal decreto correttivo), sono regolate, a fini
fiscali, dal Decreto Ministero delle Finanze del 23.01.2004 e
successive modificazioni.
Si fa notare, per inciso, che tale decreto
richiede l'utilizzo della firma elettronica qualificata (art. 1,
comma 2 punto b) e quindi la firma digitale senza dispositivo
sicuro, come prevista dal nuovo CAD, non potrà essere utilizzata.
Infine non si può non essere preoccupati per le
potenziali conseguenze che la nuova definizione di documento
analogico, introdotta dall'art. 1, comma 1 punto p-bis del CAD,
potrebbe produrre su tutta l'impalcatura interpretativa inerente la
fatturazione elettronica e la conservazione dei documenti fiscali,
costruita in questi anni attraverso l'interpretazione combinata
della Delibera CNIPA n. 11/2004, del Decreto Ministero delle Finanze
del 23.01.2004, delle Circolari n. 45/E/2005 e 36/E/2006 e delle
numerose Risoluzioni dell'AGE, nonchè del D. Lgs. 52/2004.
Come dovranno essere considerate ad esempio le
fatture informatiche non sottoscritte digitalmente, dal momento che
il documento analogico adesso può essere solo "la rappresentazione
non informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti"?
Analogo problema si pone per le scritture
contabili non sottoscritte ai sensi dell'art. 2215 bis c.c.
Come si concilia tutto ciò con la nuova norma
relativa alle copie per immagine di documenti analogici? Si rischia
il ritorno indietro rispetto a tutto il faticoso lavoro
interpretativo, elaborato dall'Agenzia delle Entrate, in merito al
passaggio in conservazione direttamente dallo spool di stampa?
La Risoluzione N. 158/E, del 15 giugno 2009,
aveva avuto l’innegabile pregio di aver semplificato notevolmente il
processo di conservazione sostitutiva dei documenti analogici, in
quanto aveva consentito l’acquisizione dell’immagine tramite il
processo di generazione dello spool (o rappresentazione
grafica) di stampa dei documenti, senza passare attraverso la
scansione dei medesimi, a condizione (naturalmente) che
l’immagine così acquisita rispecchiasse in maniera, fedele corretta
e veritiera il contenuto rappresentativo del documento.
La Risoluzione non aveva consentito tuttavia di
eliminare la fase di stampa di tali documenti in quanto,
richiamandosi a quanto stabilito dall’art. 3 del decreto
ministeriale 23.01.2004, sottolineava che "..un documento che non
presenti dall’origine la firma elettronica qualificata ed il
riferimento temporale, dovrà essere considerato come un documento
analogico formato tramite strumenti informatici…omissis…La
materializzazione su supporto fisico in generale e, più in
particolare, la stampa su carta, sono, dunque, adempimenti
ineludibili ai fini dell’esistenza stessa del documento formato
tramite strumenti informatici ma carente del riferimento temporale e
della firma elettronica qualificata".
Gli operatori, da quella data, hanno potuto
scambiarsi documenti non firmati (anche fatture) che, per assumere
rilevanza fiscale dovevano essere stampati, ma che hanno potuto
sottoporre a processo di conservazione sostitutiva mediante
acquisizione dell’immagine dallo spool di stampa.
D'ora in poi come dovrebbe strutturarsi il
processo di conservazione, dal momento che il richiamato decreto
prevede solo l'acquisizione dell'immagine e non può più esistere il
concetto di "documento analogico formato tramite strumenti
informatici"?
Di fronte a questa confusione è di ben poca
consolazione la tanto sbandierata introduzione di un sistema di
accreditamento dei soggetti che svolgono attività di conservazione
(art. 44-bis del CAD).
Quello che sconcerta è che tutte queste modifiche
contraddittorie e negative non esistevano nella prima bozza,
approvata dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 19.02.2010, ma
sono apparse nel testo definitivo emanato il 30.12.2010.
Parrebbe quasi che l'elaborazione del testo sia
stata influenzata dalla pressione di alcune lobby di interesse e
che, per assecondare queste, sia stato perso di vista il quadro
generale e l'equilibrio del sistema.
Purtroppo non si sono sentite voci critiche su
questo risultato e questo assordante silenzio fa ben poco sperare
per il futuro del settore, che appare sempre più ingolfato da
soggetti non intenzionati ad impegnarsi per una evoluzione
costruttiva nell'interesse generale, ma solo a presidiarne lo
sviluppo per tutelare il proprio interesse del momento.